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La violenza ha molte forme, e talvolta viaggia sul web.
Spesso chi agisce dietro lo schermo di un computer coltiva la convinzione di essere, per tale ragione, di fatto non punibile. Anche sotto questo profilo, tuttavia, la giurisprudenza ha subito un’importante evoluzione, adeguando i parametri di giudizio dei confini del penalmente illecito alle nuove modalità di espressione.
La Corte di Cassazione, in una recentissima sentenza (sentenza n. 10692 del 14 marzo 2024) ha affermato che può essere condannato per violenza sessuale consumata chi minaccia una persona online per ottenere immagini di autoerotismo.
Il caso: dopo aver inizialmente ottenuto immagini intime della la persona offesa, nell’ambito di un rapporto telematico, in un primo momento consenziente, l’imputato aveva poi costretto la donna a mandargliene altre, ed in particolare a inviargli video riproducenti atti di autoerotismo, commessi a seguito di costrizione; in caso non avesse obbedito alle sue richieste, l’uomo aveva minacciato di infliggerle vere e proprie violenze fisiche, nonché di inviare a terzi le immagini intime già in suo possesso.
Non ha trovato accoglimento la tesi difensiva, secondo la quale la violenza sessuale non sarebbe stata consumata. Secondo la Suprema Corte, infatti, rilevano quali atti sessuali suscettibili di integrare il reato non solo quelli praticati con costrizione dall'aggressore alla vittima, o dalla vittima all’aggressore, ma anche quelli che la persona offesa sia stata costretta a praticare su di sé. Il principio affermato, in definitiva, è che non è necessario, perché la condotta sia punibile, il contatto fisico fra l'agente e la vittima. Si tratta di un principio importante, in considerazione del fatto che sempre di più le relazioni umane vengono vissute anche attraverso il web. Un importante punto d’arresto rispetto alla pretesa di impunibilità delle condotte agite in rete.