
La violenza viaggia sul web
15 Marzo 2024Secondo la Convenzione di Istanbul (all’art. 3) “la violenza contro le donne, vera e propria violazione dei diritti umani, ricomprende tutti gli atti di violazione di genere che determinano o sono suscettibili di provocare danno fisico, sessuale, psicologico o economico o una sofferenza alle donne, comprese le minacce di tali atti. La stessa Convenzione di Istanbul, all’articolo 18, stabilisce che gli Stati firmatari si impegnano ad evitare la “ vittimizzazione secondaria”, che consiste nel far rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la vittima di violenze, nell’ambito di procedure istituzionali susseguenti all’apertura di un procedimento giurisdizionale, procedure nell’ambito delle quali è compito delle istituzioni proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazione della violenza, anche sotto il profilo psicologico. E’ di fondamentale importanza che le istituzioni operino sempre nel massimo rispetto delle direttive internazionali e nazionali, e garantiscano comportamenti rispettosi e tutelanti della salute psicofisica e della sicurezza della vittima, sia essa la donna sia esso il minore vittima di violenza assistita. La Convenzione di Istanbul nell’articolo 18 al comma 3, indica interventi puntuali finalizzati al raggiungimento di questo è previsto che le parti contraenti devono adottare le misure necessarie per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza, basate su una comprensione della violenza di genere contro le donne e della violenza domestica evitando ogni possibile forma di cd victim blaming.
E’ stata espressamente identificata come forma di vittimizzazione secondaria nei procedimenti di separazione e divorzio giudiziale, la presenza congiunta dei coniugi davanti al Presidente per il tentativo di conciliazione, senza alcuna deroga; senza, in particolare, che sia prevista l’adozione delle cautele invece dettate nell’ambito dei procedimenti penali. La soggezione psicologica che subisce la vittima, in mancanza di adozione di necessarie tutele, può avere come conseguenza non solo l’esposizione a tensioni e pressioni agite dal violento, ma anche l’impossibilità per la vittima di esporre nel dettaglio le condotte subite nel corso della relazione familiare, con il rischio di mancata emersione dei comportamenti di violenza. Analoghe considerazioni, valgono per la presenza congiunta nell’ambito delle operazioni peritali. Il comma 2 dell’articolo 18 della Convenzione di Istanbul prevede infatti che vengano adottate le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che esistano adeguati meccanismi di cooperazione efficace tra tutti gli organismi competenti, comprese le autorità giudiziarie, i pubblici ministeri, le autorità incaricate competenti, al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di violenza. È di immediata evidenza come il mancato coordinamento tra le autorità indicate possa produrre gravi forme di vittimizzazione secondaria delle vittime di violenza domestica esposte, qualora chiamate a rievocare le violenze subite dinanzi a ciascuna delle autorità indicate, a tensioni e sofferenze, nonché al rischio di decisioni tra loro non coordinate e potenzialmente divergenti In accordo con tali principi i consulenti tecnici d’ufficio, gli ausiliari del giudice, gli operatori del servizio socio assistenziale e socio sanitario, non possano ritenere legittimamente che l’esistenza di condotte violente nel corso della vita familiare esuli dall’ oggetto di valutazione. Se è vero che consulenti ed ausiliari del giudice della famiglia e dei minori non devono e non possono sostituirsi al giudice penale nell’accertamento dei fatti, è vero che non possano non tenere in adeguata considerazione gli indici rilevatori della violenza domestica , in presenza dei quali le parti non possono essere invitate alla mediazione ed alla conciliazione, vietata invece dall’articolo 48 della Convenzione di Istanbul nei casi di violenza.
La mancata verifica della presenza di indicatori di violenza nelle fasi iniziali del procedimento ha come conseguenza il rischio di realizzare forme di vittimizzazione secondaria. Le forme di vittimizzazione posso sostanziarsi per esempio nella comparizione delle parti dinanzi al magistrato procedente, o ai Consulenti Tecnici nell’ambito di indagini peritali disposti dal Giudice, senza l’adozione di cautele , che protegga la vittima della violenza dal diretto confronto con l’autore della medesima; non solo: la presenza di violenza diretta o assistita da parte del minore può comportare una non corretta valutazione e comprensione da parte del giudice e dei suoi ausiliari che potrebbero imputare alla madre condotte “alienanti” o “manipolative”. Si sottolinea che tale rischio è chiaramente evidenziato nel Rapporto GREVIO (rapporto GREVIO per l’Italia – GREVIO’s -Baseline- Evaluation Report, Italy- tradotto in italiano dal Dipartimento per le Pari Opportunità), redatto nel 2019 all’esito della attività di Organo di Monitoraggio chiamato a verificare l’applicazione della Convenzione di Istanbul)
Nelle relazioni caratterizzate da violenza, in presenza di una posizione dominante (quella dell’aggressore) e di una posizione recessiva (quella della vittima) è impossibile un intervento che abbia come presupposto la parità delle parti
Troppa confusione si fa ancora tra i termini violenza e conflitto, per cui si finisce per attribuire alle vittime, in maniera fuorviante, pari responsabilità, ponendo vittime ed aggressori sullo stesso piano e giustificando i comportamenti violenti come possibili forme reattive. Il mancato riconoscimento della violenza è di per sé una forma di vittimizzazione secondaria perché si traduce inevitabilmente in una denegata giustizia, quantomeno agli occhi della vittima, che dopo aver subito violenza per tanto tempo, spesso per anni, non si sente d difesa da un sistema che la giudica anziché proteggerla.
Troppo spesso avviene, ancora, (96% dei casi, secondo il rapporto GREVIO già citato) che, pur in presenza di allegazioni di violenza, non siano dettate specifiche indicazioni per evitare incontri congiunti tra i coniugi. Al paragrafo 188, raccomandazione f), il rapporto raccomanda all’Italia di vietare l’uso da parte dei consulenti tecnici, degli assistenti sociali e dei tribunali dei concetti legati alla “alienazione parentale”, o di qualsiasi altro approccio o principio, come il “friendly parent provision”-“buon genitore”, che tendono a considerare le madri che denunciano la violenza come “non collaborative”.